DeepL Translate: Il miglior traduttore al mondo
I dati relativi alle frequenze d’uso dei pronomi relativi il quale e cui seguono un trend comune a molti altri parametri. Si riscontra, infatti, un calo graduale e sistematico nei romanzi originali italiani in diacronia e, parallelamente, nei romanzi in traduzione, un calo dalla prima alla seconda fase e una ripresa nella terza. Già Cortelazzo (2010) aveva osservato una disponibilità leggermente maggiore per il pronome relativo nelle traduzioni; ciò detto, la “conservazione” di talune forme tradizionali non è https://www.langit.it/ prerogativa generale delle traduzioni tout court, ma, al contrario, differisce a seconda della fase storico-culturale su cui si concentra l’analisi.
3. Pronomi relativi
- Ci siamo prefissi, in primo luogo, di verificare se vi fosse un’effettiva regressione nell’uso di queste forme; in secondo luogo, di osservare se in tal caso in questo processo le traduzioni si allineassero con gli originali italiani o meno.
- Seguendo Even-Zohar (1990), si potrebbe ipotizzare che le traduzioni rivestano un ruolo diverso (di consolidamento, di rinnovamento o di conservazione) nel polisistema letterario italiano nei diversi periodi considerati.
- Anche in questo caso essere e avere sono stati considerati sia come ausiliari che come verbi autonomi, dal momento che il rapporto tra trapassato remoto e trapassato prossimo è analogo a quello tra passato remoto e passato prossimo.
- Questo dato consentirebbe di ipotizzare – ma tale ipotesi attende la prova di dati più specifici – che in traduzione si usino più che negli originali inglesi i nomi propri, per evitare l’imbarazzo nella scelta del pronome, come già notava Parks (1997) a proposito della traduzione italiana di Women in Love di D.
Se, insomma, in passato per questo parametro vi era uno scarto considerevole fra traduzioni e testi indigeni, oggi questo scarto sembra scomparso. Nella tabella qui presentata colpisce, in particolare, la struttura chiastica che assumono i dati relativi alle ultime due fasi, quando la frequenza dei pronomi diminuisce nei romanzi italiani nella medesima misura in cui aumenta nelle traduzioni. Questa specularità mostra come la complessità pronominale delle traduzioni contemporanee sia relativamente alta, attestandosi a un livello pari a quello dei romanzi italiani della seconda fase. https://writeablog.net/lingua-certa/esperti-in-traduzione-per-il-settore-dellingegneria Seguendo Even-Zohar (1990), si potrebbe ipotizzare che le traduzioni rivestano un ruolo diverso (di consolidamento, di rinnovamento o di conservazione) nel polisistema letterario italiano nei diversi periodi considerati. Obiettivo dell’analisi è identificare i tratti linguistici che costituiscono il «repertorio di riferimento», ovvero «l’aggregato di norme e forme condivise in un dato periodo» (Even-Zohar 1990) da scrittori da una parte e traduttori dall’altra, per stabilire se fra la lingua dei romanzi indigeni italiani e quella delle traduzioni di narrativa vi sia una differenza statisticamente significativa.
2.1. Pronomi personali tonici di terza persona
Il fatto che nella fase centrale, tanto nei romanzi autoctoni quanto, in misura minore ma piuttosto significativa, nelle traduzioni, si ricorresse spesso alle particelle enfatiche dà sostegno all’ipotesi (cfr. Ferme 2002; Testa 1997) che anche sul versante linguistico gli anni del boom dell’editoria italiana si configurassero come un periodo di relativa libertà linguistica nella narrativa. Nella prima fase, al contrario, dove la distanza tra parlato e scritto (soprattutto letterario) era più netta, la frequenza di queste forme era molto bassa in entrambi i gruppi testuali. Rispetto al sistema dei modi e dei tempi verbali, abbiamo analizzato gli usi generalmente ritenuti in via di ridimensionamento, come nei casi del modo congiuntivo e del tempo passato remoto dell’indicativo. Ci siamo prefissi, in primo luogo, di verificare se vi fosse un’effettiva regressione nell’uso di queste forme; in secondo luogo, di osservare se in tal caso in questo processo le traduzioni si allineassero con gli originali italiani o meno. In questo gruppo rientrano la perifrasi progressiva e i pronomi personali, che oggi sono entrambi soggetti a fenomeni di ristandardizzazione. […] E la verità da portare in luce è proprio quella condizione di subalternità in cui si dibattono non solo gli scrittori ma tutti. Per la maggior parte dei parametri, però, è emerso che nella prima e nell’ultima fase considerata, quelle cioè interessate rispettivamente dai processi di standardizzazione e neostandardizzazione, le traduzioni si configurano come un fattore di stabilità e di ancoraggio all’italiano della tradizione letteraria. In epoca contemporanea sembra essersi verificato un ridimensionamento nell’uso di queste espressioni, forse in reazione alla contaminazione tra scritto e parlato tentata nei decenni centrali del Novecento o forse anche perché sono un po’ passate di moda. Tra i tratti linguistici esenti da interferenza perché privi di un corrispettivo isomorfo in inglese vi sono forme lessicali enfatiche come la negazione rafforzata dalla particella mica, le locuzioni avverbiali senz’altro e meno male e l’interiezione magari. Si considerano qui una serie di usi italiani non immediatamente “suggeriti” dall’inglese, per i quali cioè non esiste un’equivalenza formale nella lingua source delle traduzioni tale da indurre il traduttore ad adoperarli. Tra i parametri qui analizzati, vi sono le forme lessicali enfatiche mica, meno male, senz’altro, magari e forme concorrenti quali indicativo e congiuntivo da una parte, passato prossimo e passato remoto dall’altra. Per avere un’ampia gamma di stili narrativi, abbiamo scelto sia romanzi di genere che testi letterari, anche se gli autori più sperimentali (come Gadda o Joyce) sono stati evitati. Tutti i romanzi scelti sono stati pubblicati da grandi case editrici e molti dei loro autori sono ben noti (Dickens, Hemingway, Agatha Christie da una parte, Pavese e Baricco dall’altra). Tuttavia, poiché questo studio non mira a stabilire se i testi in inglese hanno avuto un’influenza sulla lingua italiana, ma soltanto a rilevare l’effettivo uso di certi elementi linguistici nelle traduzioni o nei romanzi autoctoni, non sono stati presi in considerazione i dati di vendita di questi romanzi. L’analisi dei mutamenti linguistici nella lingua dei romanzi italiani autoctoni e tradotti ha consentito di delineare in questi due macrogruppi di testi l’incidenza dei processi di standardizzazione, trasgressione dello standard e ristandardizzazione che hanno interessato il sistema linguistico-letterario italiano dall’Unità a oggi. Il terzo macroparametro riguarda quei tratti molto frequenti in inglese che hanno analoghi italiani con frequenze d’uso molto più basse. L’ipotesi di partenza è che il contatto con l’inglese promuova l’adozione di simili morfemi, forme o particelle normalmente poco usati ma già presenti nel patrimonio linguistico-grammaticale italiano, per questo motivo spesso definiti «calchi patrimoniali» (Grasso 2007). Risulta pertanto infondata l’impressione di tanti (tra cui Coletti 2011), secondo cui in generale le traduzioni sarebbero linguisticamente più povere rispetto ai romanzi italiani. Vale anche la pena di ricordare, a questo punto, che mentre lo scrittore è sovrano nello scegliere di propendere o meno per il congiuntivo, un traduttore vedrà il suo lavoro sottoposto alla revisione di uno o più editor, il che potrebbe condurlo a decidere a favore degli usi linguistici più conservatori, una tendenza di cui si lamenta amaramente Milan Kundera nei Testamenti traditi (1994). Si ribadisce che l’intento dello studio era di stabilire se dal confronto tra questi gruppi testuali limitati, ma, come si è visto, comunque più consistenti di quelli adottati in molti altri studi, emergessero risultati sufficientemente interessanti e coerenti tra loro da meritare uno studio ulteriore con risorse più adeguate. Lo scarto tra i due generi testuali è netto nella seconda e nella terza fase, in cui la perifrasi è molto più utilizzata in traduzione. I dati confermano che in traduzione le forme enfatiche si sono sempre usate meno che nei romanzi originali coevi, come la mancata corrispondenza formale tra inglese e italiano per questo parametro lasciava presupporre. https://telegra.ph/Certificazioni-linguistiche-come-garanzia-di-qualità-03-08 Inoltre, la mancata “difesa” del presente indicativo a favore del progressivo può indicare che la tendenza conservatrice dei traduttori dipende da certi cliché sul presunto italiano convenzionale e tradizionale. https://jensen-malik-2.mdwrite.net/agenzia-di-traduzione-servizi-di-traduzione-professionale-1741451026 Data la necessità di un riscontro quantitativo sull’uso di tale costrutto in italiano, oltre a ricercare le desinenze del gerundio (come è stato già fatto da Cortelazzo 2007a) abbiamo associato tali desinenze a tutte le persone del presente del verbo stare, confidando in una maggiore attendibilità dei risultati data da una più puntuale contestualizzazione delle occorrenze. L’autrice discute le questioni poste dalla rilevanza del termine «traduzione» nell’ambito degli studi postcoloniali. Anche in questo caso essere e avere sono stati considerati sia come ausiliari che come verbi autonomi, dal momento che il rapporto tra trapassato remoto e trapassato prossimo è analogo a quello tra passato remoto e passato prossimo. Per appurare tale tendenza all’impoverimento, siamo ricorsi a un indice che misura la varietà lessicale denominato standardised type/token ratio (STTR) fornito dal software di analisi testuale WordSmith Tools. Questo indice è ottenuto mediante il ricalcolo da zero ogni mille vocaboli del rapporto in https://www.tradurre.it/ termini percentuali tra il numero delle parole diverse (type) e il totale delle parole o occorrenze (token) di un dato corpus; successivamente il programma procede al calcolo della media di tali rapporti percentuali. Dai risultati si evince che gli scrittori italiani contemporanei fanno un uso più parco del congiuntivo rispetto al passato (un’occorrenza ogni quindici circa dell’indicativo contro una ogni cinque nella prima fase), come pure più contenuto è oggi il ricorso al congiuntivo da parte dei traduttori (da un congiuntivo ogni tre indicativi a uno ogni dieci). Abbiamo poi calcolato il rapporto tra occorrenze dell’indicativo e del congiuntivo per capire se, o fino a che punto, nell’italiano letterario contemporaneo si riscontrasse davvero un’erosione nell’uso del congiuntivo a vantaggio della forma concorrente dell’uso medio. Di nuovo, i dati, se pure indicativi, possono dare un’idea della variazione nell’uso di questo modo verbale.